IL PUNTO SULLA DISCIPLINA DELLA TRACCIABILITA’ FINANZIARIA
Sulla G.U.R.I. n. 295 del 18 dicembre 2010, è stata pubblicata la legge 217del 17 dicembre 2010, recante “Conversione in legge, con modificazioni, del d.l.12 novembre 2010, n. 187, recante misure urgenti in materia di sicurezza”.
Si tratta, come noto, della legge con la quale sono state introdotte norme attuative ed interpretative, nonché di modifica, dell’art. 3 della legge 13agosto 2010, n. 136 (“Piano straordinario contro le mafie”), contenente la disciplina sul sistema di tracciabilità dei flussi finanziari.
Considerate le difficoltà incontrate dagli operatori, pubblici e privati, nella concreta applicazione delle nuove disposizioni, si ritiene utile fornire un quadro riepilogativo degli aspetti più significativi della nuova disciplina sulla tracciabilità.
Applicazione della normativa ai contratti in corso
Come noto, la legge 136/2010 non prevede espressamente una norma transitoria. Tant’è che, in seguito alla entrata in vigore della legge (7 settembre 2010), sono sorti dubbi in relazione alla operatività delle nuove disposizioni dei riguardi dei contratti (e, quindi, dei pagamenti) in corso di esecuzione.
In proposito, il Ministero dell’Interno, con nota prot. n. 13001/118/GAB del 9 settembre u.s., ha avuto modo di chiarire che “l’ambito applicativo della disposizione in oggetto è da intendersi riferito ai soli contratti sottoscritti successivamente alla data di entrata in vigore della legge”.
Secondo il Dicastero, tale interpretazione scaturisce da una lettura
sistematica delle disposizioni contenute nella legge in argomento, atteso che il legislatore, là dove ha ritenuto di estenderne l’applicazione anche ai rapporti già in essere, lo ha sancito espressamente [art. 2, comma 1, lett. c)].
A supporto di tale tesi, la nota ministeriale ha evidenziato, altresì, come “l’applicabilità delle disposizioni sulla tracciabilità alle prestazioni in corso, in assenza, peraltro, di una espressa previsione testuale in tal senso, andrebbe ad incidere in modo sostanziale sull’assetto contrattuale già in essere, in violazione delle disposizioni civilistiche in materia di autonomia negoziale, determinando il possibile insorgere di contenziosi, con notevoli danni al sistema economico, sia per le pubbliche amministrazioni che per le imprese”.
Sulla questione è poi intervenuto l’art. 6, commi 1 e 2, della legge 217/2010.
La prima parte della norma, di interpretazione autentica (comma 1), stabilisce che le disposizioni contenute all’art. 3 della legge n. 136/10 si applicano ai contratti specificamente indicati nel medesimo articolo e sottoscritti successivamente alla data di entrata in vigore della legge, nonchè ai contratti di subappalto e ai subcontratti da essi derivanti.
La seconda parte (comma 2) della norma prevede, invece, che i contratti stipulati precedentemente alla data di entrata in vigore della legge n. 136, ed i contratti di subappalto e i subcontratti da essi derivanti sono adeguati alle disposizioni di cui all’articolo 3 della medesima legge n. 136, come modificato dal comma 1, lettera a), dell’articolo 7 della legge 217, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge 187.
Alla luce del quadro normativo risultante dalle modifiche apportate alla legge n. 136/10, gli obblighi di tracciabilità trovano, dunque, immediata ed integrale attuazione in relazione ai contratti (e subcontratti da essi derivanti) sottoscritti dopo il 7 settembre 2010, ancorché relativi a bandi pubblicati prima del 7 settembre 2010. Tali contratti devono quindi recare, sin dalla sottoscrizione, le nuove clausole sulla tracciabilità.
Per quanto concerne, invece, i contratti sottoscritti prima della stessa data, l’articolo 6, comma 2, della legge n. 217 prescrive che gli stessi siano adeguati alle norme sulla tracciabilità entro centottanta giorni “dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
Per l’effetto, poiché la legge di conversione è in vigore dal 19 dicembre 2010, il periodo transitorio scade il 18 giugno 2011.
Il medesimo comma 2 prevede, poi, che tali contratti, ai sensi dell’articolo 1374 del codice civile “si intendono automaticamente integrati con le clausole di tracciabilità previste dai commi 8 e 9 del citato articolo 3 della legge n. 136 del 2010 e successive modificazioni”.
L’articolo 1374 c.c. stabilisce che “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità”.
Ne consegue che, ove alla scadenza del periodo transitorio le parti non procedono ad adeguare i contratti, essi saranno automaticamente integrati, senza necessità di sottoscrivere specifici atti negoziali aggiuntivi.
Il meccanismo di integrazione automatica dei contratti evita la grave sanzione della nullità assoluta dei medesimi, ove sprovvisti delle clausole della tracciabilità alla scadenza del periodo transitorio, sancita dal comma 8 dell’articolo 3 della legge n. 136.
Inoltre, l’integrazione automatica dei contratti semplifica anche il controllo delle stazioni appaltanti sui contratti antecedenti alla data del 7 settembre 2010 ed in corso di esecuzione alla scadenza del periodo transitorio, tenuto conto che anch’essi devono intendersi automaticamente modificati in conformità ai nuovi obblighi di tracciabilità.
Per quanto concerne, specificamente, i contratti in corso di esecuzione alla scadenza del periodo transitorio, l’AVCP suggerisce alle stazioni appaltanti di inviare agli operatori economici una comunicazione, per informare circa l’avvenuta integrazione automatica del contratto principale (e dei contratti da esso derivati) e contestualmente procedere alla comunicazione del CIG, ove non previsto originariamente.
Resta fermo che, fino alla scadenza del periodo transitorio, è possibile effettuare tutti i pagamenti del corrispettivo in dipendenza del contratto, anche se questo sia sprovvisto della clausola di tracciabilità e del CIG.
Ambito oggettivo di applicazione
La disciplina in tema di sistema di tracciabilità dei flussi finanziari relativi ai contratti pubblici, prevista dal citato art. 3 della legge 136/10, come risultante dalle modifiche apportate dalla legge 217/10, prevede una serie di obblighi, con riferimento specifico a:
a) gli appalti e le altre tipologie contrattuali relative all’affidamento di lavori, servizi e forniture (comprese le concessioni di lavori e servizi, nonché gli affidamenti in economia);
b) le forme di contribuzione pubblica.
La norma incide quindi sui rapporti tra le stazioni appaltanti (o concedenti) e gli operatori economici individuati come appaltatori (o concessionari), nonché rientranti nella “filiera delle imprese” che, a vario titolo, intervengono nello sviluppo dell’appalto o della concessione.
In buona sostanza, la nuova disciplina si applica ai trasferimenti di risorse pubbliche connessi a contratti per l’esecuzione di lavori, forniture e servizi, configurabili a seguito di:
1) appalti (mediante procedure aperte, ristrette o negoziate);
2) subappalti;
3) cottimi fiduciari;
4) concessioni.
L’AVCP ha precisato (determinazioni n. 8/2010 e n. 10/2010) che le norme sulla tracciabilità dei flussi finanziari si applicano in tutti i casi in cui sia stipulato un contratto d’appalto pubblico tra operatore economico e committente pubblico, indipendentemente dall’esperimento o meno di una gara per l’affidamento dei lavori, forniture o servizi, e dal valore dei contratti.
Nel caso in cui gli appalti siano affidati dalle imprese pubbliche,
nell’ambito dei settori “speciali” individuati dalla parte III del Codice, i flussi finanziari che ne derivano sono assoggettati al rispetto dell’art. 3 della legge n. 136, mentre sono da ritenersi esclusi i contratti di diritto privato stipulati dalle imprese pubbliche al di fuori di tali attività.
Rientrano, inoltre, tra i contratti per i quali trovano applicazione le norme sulla tracciabilità anche quelli che formalizzano rapporti di partenariato pubblico privato, come ad esempio i contratti di locazione finanziaria o il c.d. “leasing in costruendo”, disciplinato dall’art. 160-bis del d.lgs. n. 163/06.
Come precisato, la disciplina in commento si applica, poi, anche nei riguardi di:
a) concessioni di lavori (concessioni di costruzione e gestione o
concessioni mediante project financing).
b) concessioni di servizi.
Al riguardo, l’Autorità di Vigilanza ha precisato che detto assoggettamento deriva dalla considerazione che la normativa comunitaria ed il Codice dei contratti definiscono la concessione quale “contratto a titolo oneroso, concluso in forma scritta, che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico ad eccezione del fatto che il corrispettivo .. consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera (o i servizi) o in tale diritto accompagnato da un prezzo…”.
Secondo l’AVCP la normativa sulla tracciabilità trova applicazione anche in relazione ai contratti c.d. “esclusi”, di cui al Titolo II, parte I, del Codice dei contratti, purché gli stessi siano riconducibili alla fattispecie dell’appalto.
Ad esempio, sono da ritenersi sottoposti alla disciplina sulla tracciabilità gli appalti previsti dagli articoli 16 (contratti relativi alla produzione e al commercio di armi, munizioni e materiale bellico), 17 (contratti segretati o che esigono particolari misure di sicurezza) e 18 (contratti aggiudicati in base a norme internazionali).
Parimenti, devono ritenersi sottoposti alla disciplina sulla tracciabilità gli appalti di servizi ricompresi nell’allegato II B al Codice, cui, come è noto, si applicano solo alcune disposizioni del d.lgs. 163/06. A titolo esemplificativo, l’acquisto da parte di una stazione appaltante di corsi di formazione per il proprio personale configura un appalto di servizi, rientrante nell’allegato II B, categoria 24 e, pertanto, comporta l’assolvimento degli oneri relativi alla tracciabilità.
Infine, sono soggetti alla tracciabilità i contratti pubblici di cui all’art. 19, comma 1 – concernenti talune categorie di appalti di servizi – limitatamente ai servizi finanziari menzionati alla lettera a), secondo periodo, ed i servizi di ricerca e sviluppo di cui alla successiva lettera f).
Ambito soggettivo di applicazione
Particolare interesse riveste la questione relativa ai soggetti appaltanti/concedenti sottoposti al regime normativo della legge 136/2010.
L’Autorità di Vigilanza ha chiarito che la normativa in tema di tracciabilità si applica ai contratti di appalto e alle concessioni stipulati dai soggetti individuati dall’art. 32, d.lgs. 163/06 (amministrazioni aggiudicatrici e altri soggetti aggiudicatori) e, quindi, anche dai soggetti privati per l’esecuzione di lavori “a scomputo” degli oneri di urbanizzazione.
Al riguardo, si rammenta che le amministrazioni aggiudicatrici sono a loro volta individuate dal comma 25 del citato art. 3 del Codice, che menziona le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici, gli organismi di diritto pubblico, le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti.
Sono inoltre sottoposti agli obblighi ex art. 3 della legge 136 gli enti aggiudicatori di cui all’art. 207 del Codice, ivi incluse le imprese pubbliche.
Inoltre, è soggetta alla tracciabilità, con conseguente obbligo di richiesta del CIG, anche la procedura di selezione del socio privato di una società mista, con contestuale affidamento del servizio al socio medesimo; conseguentemente, per tale fattispecie, è necessario richiedere il CIG all’Autorità.
Parimenti, la nuova disciplina si applica ai contratti di appalto affidati direttamente da un ente aggiudicatore o da un concessionario di lavori pubblici ad imprese collegate.
Esclusioni
Alla luce dei chiarimenti interpretativi forniti dall’Autorità di Vigilanza, in considerazione della ratio sottesa alla legge n. 136, è possibile escludere l’applicazione della normativa in tema di tracciabilità, con riferimento alle seguenti fattispecie contrattuali:
1) lo svolgimento di prestazioni di lavori, servizi e forniture in economia tramite amministrazione diretta, ex articolo 125, commi 3 e 5, del Codice dei contratti;
2) i movimenti di danaro derivanti da prestazioni eseguite in favore di pubbliche amministrazioni da soggetti, giuridicamente distinti dalle stesse, ma sottoposti ad un controllo analogo a quello che le medesime esercitano sulle proprie strutture (c.d. affidamenti “in house”)
Ai fini della tracciabilità, quindi, non deve essere richiesto il CIG,
ferma restando l’osservanza della normativa sulla tracciabilità per le società “in house” quando le stesse affidano appalti a terzi.
Pertanto, in base all’interpretazione fornita dall’AVCP, non sono
soggetti a tracciabilità:
a) le forme di corrispettivo rese al soggetto affidatario “in house”, sia per prestazioni relative a SS.PP.LL., sia per attività rese come servizi strumentali (qualora il soggetto abbia le caratteristiche indicate dall’art. 13 della legge n. 248/06);
b) i contributi per garantire i c.d. “servizi pubblici essenziali” (es.
nell’ambito del trasporto pubblico locale);
c) i contributi connessi a investimenti realizzati dal soggetto affidatario di servizi “in house”;
3) il trasferimento di fondi da parte delle amministrazioni dello Stato in favore di soggetti pubblici (anche in forma societaria) per la copertura di costi relativi all’attività espletate in funzione del ruolo istituzionale da essi ricoperto, posto che tale trasferimento di fondi è comunque tracciato;
4) le indennità corrisposte dalle imprese assicuratrici appaltatrici in favore di soggetti danneggiati dalle stazioni appaltanti assicurate;
5) le indennità e i risarcimenti di danni corrisposti a seguito di procedure espropriative, poste in essere da stazioni appaltanti o da entiaggiudicatori.
Gli indennizzi potranno essere corrisposti con qualsiasi mezzo di
pagamento, senza indicazione del CIG e senza necessità di accensione di un conto corrente dedicato, fermi restando i limiti legali all’uso del contante e le disposizioni relative al CUP, ove applicabili;
6) i contratti di lavoro conclusi dalle stazioni appaltanti con i propri dipendenti (articolo 19, comma 1, lett. e) e le figure agli stessi assimilabili (ad esempio, la somministrazione di lavoro disciplinata dagli articoli 20 e segg., d.lgs. n. 276/03, il lavoro temporaneo, ai sensi della legge 196/97);
7) i contratti aventi ad oggetto l’acquisto o la locazione di terreni,
fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti diritti su tali beni (articolo 19, comma 1, lett. a), nonché concernenti i servizi di arbitrato e conciliazione [articolo 19, comma 1, lett. c)];
8. il rapporto tra l’operatore economico che organizza corsi formativi ed i docenti esterni coinvolti, a seguito di contratti d’opera per prestazioni occasionali, assimilabile all’ipotesi prevista dall’articolo 3, comma 2, della legge n. 136/10: ne discende che i trasferimenti di denaro conseguenti possono essere esentati dall’indicazione del CIG e del CUP, ferma restando l’osservanza delle altre disposizioni;
9) gli appalti pubblici di servizi aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore ad un’altra amministrazione aggiudicatrice o ad un’associazione o consorzio di amministrazioni aggiudicatrici, in base ad un diritto esclusivo di cui esse beneficiano in virtù di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative pubblicate, purché tali disposizioni siano compatibili con il Trattato C.E. (cfr. art. 19, comma 2, d.lgs. 163/06);
10) i contratti destinati all’attività di generazione di energia elettrica per la “Zona Nord”, di cui alla Decisione della Commissione 2010/403/UE del 14 luglio 2010, recepita con d.P.C.M. – Dipartimento politiche comunitarie – 5 agosto 2010, atteso che trattasi di attività sottratte all’applicazione del Codice dei contratti, in quanto “direttamente esposti alla concorrenza”.
Le c.d. spese economali
Particolare rilievo assumono le disposizioni della legge 136 in tema di “spese economali”.
L’AVCP ha precisato, innanzitutto, che non rientrano nell’ambito
applicativo della norma le spese sostenute dai cassieri, utilizzando il fondo economale, a fronte di prestazioni che non sono in alcun modo riconducibili ad uno specifico contratto di appalto.
A titolo puramente esemplificativo, l’Autorità fa rientrare nella casistica le spese per imposte, tasse e altri diritti erariali, le spese postali, valori bollati, anticipi di missione, nonché le spese sostenute per l’acquisto di materiale di modesta entità e di facile consumo, di biglietti per mezzi di trasporto, di giornali e pubblicazioni. In tale contesto, ha altresì evidenziato come per le
spese effettuate dai cassieri, utilizzando il fondo economale, deve ritenersi consentito, da parte delle stazioni appaltanti, l’utilizzo di contanti, nel rispetto della normativa vigente.
Secondo l’Autorità si tratta, in sostanza, delle spese che ciascuna
amministrazione disciplina in via generale con un provvedimento interno:
ad esempio, il testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (d.lgs. n. 267/2000 e s.m.i.) stabilisce che il regolamento di contabilità di ciascun ente preveda l’istituzione di un servizio di economato “per la gestione di cassa delle spese di ufficio di non rilevante ammontare” (artt. 152 e 153 T.U.EE.LL.).
Il regolamento contiene un’elencazione esemplificativa degli acquisti di beni e servizi che rientrano nelle spese minute e di non rilevante entità, necessarie per sopperire con urgenza ad esigenze funzionali dell’ente, entro un limite di importo fissato nel medesimo regolamento; la gestione di tali spese, superando il rigido formalismo delle procedure, avviene secondo modalità semplificate, sia per quanto riguarda il pagamento (per prontacassa), contestuale all’acquisto indifferibile del bene o servizio, sia per quanto concerne la documentazione giustificativa della spesa.
Le spese ammissibili devono essere, quindi, tipizzate dall’amministrazione mediante l’introduzione di un elenco dettagliato all’interno di un proprio regolamento di contabilità ed amministrazione. Ovviamente, non deve trattarsi di spese effettuate a fronte di contratti d’appalto.
La filiera delle imprese
L’art. 3, comma 1, della legge 136/10 individua gli operatori economici tenuti agli obblighi di tracciabilità, correlandoli alla “filiera delle imprese”, interessati a qualsiasi titolo ai lavori, ai servizi e alle forniture pubbliche.
L’art. 6, comma 3, della legge n. 217/2010 ha fornito un’interpretazione autentica dell’espressione “filiera delle imprese”, precisando che la stessa si intende riferita ai subappalti come definiti dall’art. 118, comma 11, d.lgs. 163/06, nonché ai subcontratti stipulati per l’esecuzione, anche non esclusiva, del contratto.
Secondo l’AVCP l’intento del legislatore è, dunque, quello di assicurare la tracciabilità dei pagamenti riguardanti tutti i soggetti in qualche misura coinvolti nella esecuzione della prestazione principale oggetto del contratto. Per l’Autorità, quindi, se tale è la ratio, ciò che deve essere tenuto in considerazione non è tanto il grado di affidamento o sub affidamento, bensì la tipologia di affidamento (subappalto o subcontratto necessario a qualsiasi titolo per l’esecuzione del contratto principale), a prescindere dal livello al quale lo stesso viene effettuato.
Pertanto, la tracciabilità dei flussi finanziari deve essere ricondotta:
a) ai rapporti derivanti dai contratti di subappalto propriamente intesi;
b) ai rapporti connessi ai subcontratti “assimilati” ai subappalti ai sensi dell’articolo 118, comma 11, prima parte, del Codice (con il termine “subcontratti”, si intenda l’insieme più ampio dei contratti derivati dall’appalto, ancorché non qualificabili come subappalti, riconducibili all’articolo 118, comma 11, ultima parte, del Codice, nel quale il termine subcontratto viene usato come contratto derivato, non qualificabile come subappalto, bensì soggetto a comunicazione nei confronti del committente).
A titolo esemplificativo, per gli appalti di lavori, possono essere ricompresi:
noli a caldo, noli a freddo, forniture di ferro, forniture di calcestruzzo/cemento, forniture di inerti, trasporti, scavo e movimento terra, smaltimento terra e rifiuti, espropri, guardiania, mensa di cantiere, pulizie di cantiere.
In siffatto contesto, si colloca anche la posizione dei lavoratori autonomi, che intrattengono rapporti diretti con le stazioni appaltanti.
L’AVCP ha precisato che per quanto concerne gli operatori economici soggetti agli obblighi di tracciabilità, non assumono rilevanza né la forma giuridica (ad esempio, società pubblica o privata, organismi di diritto pubblico, imprenditori individuali, professionisti) né il tipo di attività svolta. In particolare, con riferimento al settore dei servizi di ingegneria e architettura, le norme si applicano a tutti i soggetti di cui all’articolo 90, comma 1, lettere d), e), f), f-bis), g) e h) del Codice dei contratti e, quindi, anche ai professionisti ed agli studi professionali, che concorrono all’aggiudicazione degli appalti aventi ad oggetto i predetti servizi.
Ricadono inoltre nell’obbligo di tracciabilità i contratti di affidamento inerenti lo sviluppo dei progetti (preliminari, definitivi e esecutivi) che fanno seguito a concorsi di idee o di progettazione, affidabili ai vincitori di detti concorsi.
Tuttavia, è necessario distinguere le situazioni nelle quali il rapporto con il libero professionista si concretizza in virtù delle norme del Codice dei contratti (appalti, cottimi fiduciari, incarichi tecnici), da quelle nelle quali il rapporto assume le connotazioni dell’attività consulenziale, con affidamento fondato su disposizioni diverse (es. art. 7, comma 6, d.lgs. n.165/01 – “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”).
Prendendo a riferimento le pronunce giurisprudenziali, dell’Avcp e del Ministero del Lavoro, in relazione alla distinzione tra incarichi professionali e appalti (anche in funzione delle verifiche di regolarità contributiva mediante richiesta del Durc agli enti previdenziali), è possibile ipotizzare un’interpretazione distintiva, per la quale:
a) quando l’attività è affidata al professionista (in particolar modo, per le prestazioni intellettuali – consulenziali) in forza delle disposizioni che disciplinano il conferimento di incarichi professionali, ed assumano rilievo le caratteristiche della prestazione (ad es. nel caso di una consulenza resa con un parere), la formalizzazione avviene con un contratto di prestazione d’opera, ai sensi degli artt. 2222 e segg. del codice civile e, pertanto, al rapporto non sono applicabili gli obblighi previsti dalle disposizioni contenute nell’art. 3 della legge n. 136, che fa invece riferimento alla fornitura di servizi, forniture o lavori;
b) quando l’attività sia affidata al professionista in base a procedure disciplinate dal d.lgs. n. 163/06, comprese quelle in economia ex art. 125 dello stesso decreto, e l’attività si configura come prestazione di servizi, l’affidamento avviene mediante un contratto di appalto o di cottimo fiduciario, traducendosi in un rapporto rientrante nell’ambito applicativo dell’art. 3 della legge n. 136.
L’AVCP ha confermato tale indicazione, ritenendo non soggetti agli obblighi di tracciabilità gli incarichi di collaborazione ex articolo 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/01.
Come noto, tale disposizione, in presenza di determinati presupposti di legittimità, ammette il ricorso ad incarichi individuali di natura occasionale, coordinata e continuativa, per esigenze cui non si possa far fronte con personale in servizio.
L’AVCP rileva come si tratti di contratti d’opera, previsti dall’articolo 2222 c.c. – che hanno ad oggetto un facere a favore del committente, senza vincolo di subordinazione – con lavoro prevalentemente proprio. Tali collaborazioni sono state infatti definite come attività temporanee, altamente qualificate, da porsi in essere in esplicazione delle competenze istituzionali dell’ente e per il conseguimento di obiettivi e progetti specifici;
pertanto, di regola, le collaborazioni esterne operano nell’ambito della c.d. “attività di amministrazione attiva”, volta al perseguimento delle finalità proprie dell’ente locale che, altrimenti, per l’assenza di adeguata professionalità, sarebbe impossibile raggiungere.
Per quanto concerne, invece i raggruppamenti temporanei di imprese, che concorrono a gare per forniture, servizi e lavori, indipendentemente dal ruolo assunto dalla mandataria/capogruppo, rileva la considerazione che il rapporto di mandato non determina, di per sé, organizzazione o associazione degli operatori economici riuniti, ognuno dei quali conserva la propria autonomia ai fini della gestione, degli adempimenti fiscali e degli oneri sociali (cfr. art. 37, comma 17, d.lgs. 163/06).
Pertanto, ciascun componente del raggruppamento è tenuto ad osservare in proprio e nei rapporti con eventuali subcontraenti, gli obblighi derivanti dalla legge 136.
Ne consegue che la mandataria, nei pagamenti effettuati in favore delle mandanti, dovrà rispettare le clausole di tracciabilità, che andranno inoltre inserite nel contratto di mandato.
Le medesime considerazioni valgono per “i consorzi ordinari”, di cui all’art. 34, comma 1, lett. e) del Codice, e per le “società tra imprese riunite”, ex art. 96 d.P.R. 554/99 (art. 93, d.P.R. 207/10).
Cauzioni e cessioni di credito
Per quanto riguarda i pagamenti effettuati dagli operatori economici per la stipulazione di fidejussioni, l’Autorità ha precisato che possono essere eseguiti con strumenti diversi dal bonifico, purché idonei ad assicurare la piena tracciabilità, ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge 136.
Pertanto, per essi non deve essere richiesto il CIG/CUP, fermo l’onere di conservazione di idonea documentazione probatoria.
Relativamente, invece, alle cessioni di credito, l’indicazione dell’Autorità è che, almeno contrattualmente, deve essere precisato che anche i cessionari dei crediti sono tenuti ad indicare il CIG/CUP e ad anticipare i pagamenti all’appaltatore mediante bonifico bancario o postale sui conti correnti dedicati.
Pertanto, la normativa sulla tracciabilità si applica anche ai movimenti finanziari relativi ai crediti ceduti tra stazione appaltante e cessionario, il quale deve conseguentemente utilizzare un conto corrente dedicato cfr. Corte dei conti, Sez. Veneto, parere 14 gennaio 2009, n. 7.
Gestione del conto corrente dedicato
Come precisato, l’art. 3, comma 1 della legge n. 136/10 obbliga i soggetti individuati ad utilizzare, per la gestione dei movimenti finanziari relativi alle commesse pubbliche, uno o più conti correnti bancari o postali, attivati presso banche o presso la società Poste italiane Spa, dedicati a tale funzione, anche non in via esclusiva.
Gli appaltatori – eventualmente affidatari di altri contratti – possono quindi scegliere se riportare il complesso delle transazioni derivanti dal rapporto con il soggetto che corrisponde la componente economica rapportata ad una prestazione pubblica:
a) ad un unico conto corrente, potendo considerare che i versamenti conterranno elementi distintivi dettagliati;
b) a più conti correnti, volendo eventualmente ottimizzare la gestione delle risorse, in rapporto al singolo appalto, soprattutto a fronte di quanto previsto dai commi 2 e 3 del medesimo articolo.
La prima ipotesi è confermata dalla previsione secondo cui i conti correnti dedicati alla gestione delle transazioni da commesse pubbliche possono esserlo anche non in via esclusiva, per ogni rapporto.
L’art. 6, comma 4, della legge n. 217/10, in sede di interpretazione autentica, ha precisato che proprio l’espressione “anche in via non esclusiva”, di cui al comma 1 dell’articolo 3 citato, si interpreta nel senso che “ogni operazione finanziaria relativa a commesse pubbliche deve essere realizzata tramite uno o più conti correnti bancari o postali, utilizzati anche promiscuamente per più commesse, purchè per ciascuna commessa sia effettuata la comunicazione di cui al comma 7 del medesimo articolo 3 circa il conto o i conti utilizzati, e nel senso che sui medesimi conti possono essere effettuati movimenti finanziari anche estranei alle commesse pubbliche comunicate”.
Su tale aspetto, l’Autorità di Vigilanza ha evidenziato che, a fronte della norma di interpretazione autentica, i conti correnti dedicati alle commesse pubbliche possono essere adoperati contestualmente anche per operazioni che non riguardano, in via diretta, il contratto cui essi sono stati dedicati.
Ad esempio, un’impresa che opera anche nell’edilizia privata può utilizzare il conto corrente dedicato ad un appalto pubblico per effettuare operazioni legate alla costruzione di un edificio privato. In altri termini, non tutte le operazioni che si effettuano sul conto dedicato devono essere riferibili ad una determinata commessa pubblica, ma tutte le operazioni relative a questa commessa devono transitare su un conto dedicato.
Secondo tale interpretazione, quindi, il conto dedicato può essere un conto aziendale (per le imprese) o professionale (per i liberi professionisti e lavoratori autonomi), sul quale possono transitare risorse derivanti sia da commesse pubbliche, che da quelle private.
Per gli operatori economici la evidenziazione tra le due tipologie di flussi sarà distinta dalla gestione, per quelli derivanti dalle commesse pubbliche, degli adempimenti previsti dall’art. 3 della legge n. 136/10, mentre – a contrario – per i pagamenti correlati a commesse private, l’elemento distintivo sarà desumibile all’opposto dalla non sottoposizione ai passaggi codificativi.
Gli operatori economici, inoltre, possono indicare come conto corrente dedicato anche un conto già esistente, conformandosi tuttavia alle condizioni normativamente previste.
Il comma 7 dell’art. 3 della legge n. 136 stabilisce poi un adempimento specifico in capo agli operatori economici, disponendo che essi devono comunicare alla stazione appaltante o all’amministrazione concedente gli estremi identificativi dei conti correnti dedicati entro sette giorni dalla loro accensione o, nel caso di conti correnti già esistenti, dalla loro prima utilizzazione in operazioni finanziarie relative ad una commessa pubblica, nonché, nello stesso termine, le generalità e il codice fiscale delle persone delegate ad operare su di essi.
Gli stessi soggetti devono provvedere anche a comunicare ogni modifica relativa ai dati trasmessi.
La comunicazione deve riportare tutti gli elementi utili all’effettuazione del movimento finanziario, quali, in particolare:
a) i riferimenti specifici dell’impresa, ossia la ragione sociale completa, la sede legale e dell’unità produttiva che gestisce l’appalto, il codice fiscale;
b) tutti i dati relativi al conto corrente, con riferimento particolare al codice IBAN e ai dati di possibile riscontro (Codici ABI e CAB, codice CIN, indicazione della Banca e precisazione della filiale/agenzia nella quale è acceso il conto corrente);
c) i nominativi e i riferimenti specifici dei soggetti (persone fisiche) che, per l’impresa, saranno delegati ad operare sul conto corrente dedicato, ossia i dati anagrafici, il domicilio fiscale, il codice fiscale;
d) l’eventuale indicazione della relazione tra il conto corrente dedicato e l’appalto (se il conto è stato attivato unicamente per quell’appalto).
Anche in tal caso l’adempimento può essere soddisfatto con una
comunicazione sintetica, per la quale, tuttavia, è necessario che il soggetto che la effettua provveda a:
a) inviarla mediante un procedimento tracciabile (raccomandata, corriere espresso, posta elettronica certificata);
b) verificarne l’avvenuta collegamento alle procedure contabili della stazione appaltante.
Qualora il conto corrente dedicato sia già attivo, è necessario che la comunicazione precisi tale circostanza ed il fatto che esso è già stato utilizzato per commesse pubbliche, al fine di non incorrere nelle sanzioni previste dall’art. 6 della legge 136, in caso di tardiva comunicazione delle informazioni.
Sul punto, l’AVCP ha precisato che il termine “utilizzazione” è stato impiegato nel senso di “destinazione” del conto alla funzione di conto corrente dedicato, dal momento che, sino ad avvenuta comunicazione alla stazione appaltante, non é ipotizzabile l’utilizzo del conto stesso per i pagamenti relativi alla commessa pubblica.
In caso di persone giuridiche, la comunicazione dei dati relativi al conto corrente dedicato deve essere sottoscritta da un legale rappresentante ovvero da un soggetto munito di apposita procura.
Inoltre, considerando che un fornitore può avere una molteplicità di contratti stipulati con la medesima stazione appaltante, l’AVCP pure ammesso che lo stesso comunichi il “conto corrente dedicato” una sola volta, a valere cioè per tutti i rapporti contrattuali.
Con tale comunicazione l’appaltatore deve segnalare che, per tutti i rapporti giuridici che verranno instaurati con la medesima stazione appaltante, si avvarrà – fatte salve le eventuali modifiche successive – di uno o più conti correnti dedicati (indicandone puntualmente gli estremi identificativi), senza necessità di formulare apposite comunicazioni per ciascuna commessa.
Per quanto concerne, specificamente, la tenuta di tali conti, il comma 1 dell’art. 3 della legge n. 136 precisa che ogni soggetto appaltatore o affidatario (o subappaltatore o sub affidatario o subfornitore) è tenuto, per tutti i movimenti finanziari relativi ai lavori, ai servizi e alle forniture pubblici, nonché alla gestione dei finanziamenti, alla registrazione sui conti correnti dedicati e (salvo quanto previsto al comma 3) all’effettuazione esclusivamente tramite lo strumento del bonifico bancario o postale, ovvero con altri strumenti di incasso o di pagamento idonei a consentire la piena tracciabilità delle operazioni.
Parimenti, i soggetti che corrispondono le somme relative a tali movimenti finanziari, utilizzano le stesse tipologie di strumenti: la norma non ammette (fatto salvo che per le particolari tipologie di pagamenti previste dal comma 3) soluzioni con pagamenti in contante.
L’AVCP ha evidenziato che per quanto riguarda gli strumenti di
pagamento differenti dal bonifico bancario o postale, “purché idonei ad assicurare la piena tracciabilità delle operazioni”, il requisito della piena tracciabilità sussiste per le c.d. Ri.Ba. (Ricevute Bancarie Elettroniche).
Sussiste, peraltro, in questo caso, un vincolo relativo alla circostanza che il CUP e il CIG siano inseriti fin dall’inizio dal beneficiario invece che dal pagatore: la procedura ha avvio, infatti, con la richiesta da parte del creditore, prosegue con un avviso al debitore e si chiude con l’eventuale pagamento che può essere abbinato alle informazioni di flusso originariamente impostate dal creditore.
Altro discorso va fatto invece per il servizio di pagamento RID (Rapporti Interbancari Diretti), che attualmente non consente di rispettare il requisito della piena tracciabilità. Ad avviso dell’Autorità, il flusso telematico che attualmente gestisce il RID non sembra in grado di gestire i codici.
In ogni caso, è onere dei soggetti tenuti all’osservanza degli obblighi di tracciabilità conservare la documentazione attestante l’assolvimento degli obblighi.
La legge n. 217 ha ammesso anche l’utilizzo di strumenti di incasso, che consentano di assicurare la tracciabilità del flusso, ossia l’identificazione del soggetto che si presenta per l’incasso.
Tra gli strumenti elettronici che garantiscono la tracciabilità nei termini richiesti dall’art. 3 della legge n. 136, possono essere ricompresi:
1) strumenti validi a livello internazionale:
1.a) addebito diretto SEPA, con riscossione elettronica dei crediti in virtù di un’autorizzazione di addebito rilasciata dal debitore – utilizzabile nell’intera area economica SEPA;
1.b) POS (Point of Sale), accredito elettronico all’atto del pagamento con bancomat o carta di credito;
2) strumenti validi esclusivamente in Italia:
2.a) autorizzazione di addebito R.I.D., riscossione elettronica dei crediti in virtù di un’autorizzazione di addebito rilasciata dal debitore;
2.b) ricevuta bancaria Ri.Ba., riscossione elettronica dei crediti previo invio di un avviso di scadenza da parte della banca del beneficiario; il pagamento è effettuabile solamente entro la scadenza;
2.c) avviso di pagamento M.Av. con avviso di scadenza, riscossione elettronica dei crediti previo invio di un avviso di scadenza da parte della banca del beneficiario; il pagamento è possibile anche dopo la data di scadenza;
2.d) bollettino bancario, con il quale il beneficiario gestisce autonomamente il suo sistema di incasso (stampa e recapito dell’avviso di pagamento).
E’ pertanto ipotizzabile che tra gli strumenti di incasso possa essere utilizzato anche il bancomat, a condizione che il suo utilizzo permetta l’identificazione del soggetto percepente.
Pagamenti ai dipendenti, consulenti e fornitori dell’appaltatore/affidatario
Il comma 2 dell’art. 3 si occupa degli obblighi posti a carico dei soggetti appaltatori o affidatari di commesse pubbliche o destinatari di finanziamenti pubblici in ordine ai pagamenti destinati a dipendenti, consulenti e fornitori di beni e servizi.
Secondo la norma detti pagamenti – che rientrano tra le spese generali – devono essere eseguiti tramite il conto corrente dedicato di cui al comma 1, per il totale dovuto, anche se non riferibile in via esclusiva alla realizzazione degli interventi di cui al comma 1 dell’art. 3.
I pagamenti riguardano, segnatamente, situazioni nelle quali:
a) i dipendenti o i consulenti hanno prestato la loro opera, anche per quota parte, nello svolgimento delle attività relative alla commessa pubblica “tracciata”;
b) i fornitori hanno assicurato all’appaltatore, affidatario o destinatario di finanziamenti pubblici beni o servizi impiegati, anche per quota parte, lo svolgimento delle attività relative alla commessa pubblica.
Si determina, quindi, una situazione nella quale:
a) nel conto corrente dedicato confluiscono le risorse della commessa pubblica;
b) tali risorse devono essere utilizzate per il pagamento di dipendenti, consulenti e fornitori di beni o servizi, anche, ad esempio, quando l’attività complessivamente fatturata dal consulente o dal fornitore comprenda solo alcune prestazioni riferite alla commessa pubblica.
Tale indicazione è confermata dalle previsioni contenute nel comma 4 dello stesso art. 3, il quale prevede che nell’ipotesi in cui per il pagamento di spese estranee ai lavori, ai servizi e alle forniture, di cui al comma 1, sia necessario il ricorso a somme provenienti da conti correnti dedicati di cui al medesimo comma, questi ultimi possono essere successivamente reintegrati mediante bonifico bancario o postale.
L’AVCP ha interpretato la disposizione, affermando che con riferimento a tali pagamenti non debba essere indicato il CIG/CUP.
I pagamenti cui al comma 2 dell’articolo 3 devono essere eseguiti tramite conto corrente dedicato, anche con “strumenti diversi dal bonifico bancario o postale purché idonei a garantire la piena tracciabilità delle operazioni per l’intero importo dovuto”, essendo escluso il ricorso al contante per ogni tipo di operazione e per qualunque importo.
Secondo l’Autorità, l’utilizzo di assegni bancari e postali può ritenersi consentito solo al ricorrere delle seguenti condizioni: a) i soggetti ivi previsti non siano in grado di accettare pagamenti a valere su un conto corrente (o conto di pagamento); b) il conto su cui vengono tratti i titoli sia un conto dedicato; c) i predetti titoli vengano emessi muniti della clausola di non trasferibilità (non è necessario che sugli stessi venga riportato il CUP e il CIG).
La norma presuppone, dunque, l’identificazione del soggetto (attraverso lo strumento di pagamento), escludendo gli obblighi funzionali (es. indicazione del CIG.)
Pagamenti agli enti previdenziali e assicurativi e dei gestori di
servizi pubblici
I soggetti appaltatori o affidatari di commesse pubbliche, nonché i soggetti concessionari o destinatari di finanziamenti pubblici possono eseguire (comma 3 dell’art. 3 della legge n. 136 cit.) i pagamenti in favore di enti previdenziali, assicurativi e istituzionali, nonché quelli in favore di gestori e fornitori di pubblici servizi, ovvero quelli riguardanti tributi, possono essere eseguiti anche con strumenti diversi dal bonifico bancario o postale, fermo restando l’obbligo di documentazione della spesa.
La normativa prevede inoltre che per le spese giornaliere, di importo inferiore o uguale a 1.500,00 euro, relative agli interventi di cui al comma 1, possano essere utilizzati sistemi diversi dal bonifico bancario o postale, fermi restando il divieto di impiego del contante e l’obbligo di documentazione della spesa.
Per quanto riguarda l’espressione “ spese giornaliere, di importo inferiore o uguale a 1.500 euro” l’AVCP ha precisato che la soglia indicata è riferita all’ammontare di ciascuna spesa e non al complesso delle spese sostenute nel corso della giornata.
Inoltre, l’ultimo periodo del comma 3 stabilisce che “l’eventuale costituzione di un fondo cassa cui attingere per spese giornaliere, salvo l’obbligo di rendicontazione, deve essere effettuata tramite bonifico bancario o postale o altro strumento di pagamento idoneo a consentire la tracciabilità delle operazioni, in favore di uno o più dipendenti”.
L’AVCP ha rilevato altresì che i pagamenti previsti dall’art. 3, comma 3, della legge n. 136 devono essere obbligatoriamente documentati e, comunque, effettuati con modalità idonee a consentire la piena tracciabilità delle transazioni finanziarie, senza l’indicazione del CIG/CUP (cfr. art. 6, legge 217/10).
Oltre agli strumenti più noti, per tali esborsi possono essere utilizzate le carte di pagamento, purché emesse a valere su un conto dedicato.
E’ presumibile che tali opzioni possano essere quindi concretizzate mediante il ricorso al pagamento mediante bancomat o carta di credito.
Contenuto degli strumenti di pagamento
Il comma 5 dell’art. 3 stabilisce che, ai fini della tracciabilità dei flussi finanziari, gli strumenti di pagamento devono riportare, in relazione a ciascuna transazione posta in essere dalla stazione appaltante e dagli altri soggetti di cui al comma 1, il codice identificativo di gara (CIG), attribuito dall’AVCP su richiesta della stazione appaltante e, ove obbligatorio ai sensi della legge 16 gennaio 2003, n. 3, il codice unico di progetto (CUP).
In regime transitorio, sino all’adeguamento dei sistemi telematici delle banche e della società Poste italiane Spa, il CUP può essere inserito nello spazio destinato alla trascrizione della motivazione del pagamento.
L’AVCP ha evidenziato che il CIG rappresenta il codice che identifica il singolo affidamento nell’ambito del progetto, a fronte del quale si esegue il pagamento, mentre il CUP è necessario per assicurare la funzionalità della rete di monitoraggio degli investimenti pubblici, in riferimento ad ogni nuovo progetto di investimento pubblico. Pertanto, evidenzia che i due codici rispondono ad esigenze diverse.
Devono essere registrati al Sistema CUP i progetti d’investimento pubblico finanziati con risorse:
a) provenienti da bilanci di enti pubblici o di società partecipate,
direttamente o indirettamente, da capitale pubblico;
b) destinate al finanziamento o al cofinanziamento di lavori pubblici (come individuati dalla normativa in materia di appalti pubblici) e all’agevolazione di servizi e attività produttive;
c) finalizzate alla promozione delle politiche di sviluppo.
Dunque, l’obbligatorietà della richiesta del CUP prescinde dall’importo e dalla natura della spesa (corrente o in conto capitale) che il progetto prevede o, comunque, ricomprende, ma consegue alla riconducibilità delle spese ad un “Progetto di investimento pubblico” (art. 1, legge n. 3/2003 cit.), cioè quando si sia in presenza di un complesso di azioni e/o strumenti di sostegno, relativi ad un medesimo quadro economico di spesa, tra di loro collegati da quattro elementi imprescindibili:
– la presenza di un decisore pubblico;
– la previsione di un finanziamento, almeno parziale, anche se minimo, diretto o indiretto, con risorse pubbliche;
– la presenza di un obiettivo di sviluppo economico e sociale comune alle azioni e/o agli strumenti di sostegno predetti;
– la previsione di un termine entro il quale l’obiettivo deve essere
raggiunto.
A questo proposito, il CIPE, nella delibera n. 143 del 27 dicembre 2002, ebbe modo di precisare che un progetto d’investimento pubblico non comprende solo spese in conto capitale e, viceversa, una spesa in conto capitale non è necessariamente un progetto d’investimento pubblico (o non fa parte necessariamente di un progetto d’investimento pubblico; ad esempio: un progetto di costruzione di una strada comprende il compenso ai progettisti,
ed il loro costo, che è tipicamente una spesa corrente, rientra nel relativo progetto d’investimento. Ed ancora, l’acquisto di un computer per aggiornare la dotazione di un ufficio è una spesa in conto capitale, ma non è un progetto d’investimento. L’acquisto dello stesso computer nel quadro dell’automazione degli uffici di un comune è, invece, parte di un progetto d’investimento).
Con comunicato del 30 agosto 2010, il CIPE ha segnalato inoltre quanto segue: “il sistema CUP è in grado di rilasciare il codice anche per interventi relativi alla gestione corrente. Pertanto, gli utenti, ove volessero richiedere un CUP per i citati interventi di gestione corrente, sono cortesemente invitati a riportare – nel campo ALTRO della II maschera di richiesta del codice – la dicitura “intervento di gestione corrente” – CUP richiesto per quanto previsto dalla legge 136/2010; sono comunque in atto approfondimenti sul contenuto della norma e, appena possibile, saranno date più complete indicazioni in merito sul sito CIPE.
Per ulteriori informazioni, gli utenti sono invitati a contattare la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica – Servizio per la Gestione delle banche dati degli investimenti pubblici – Numero verde: 800-961966 – Fax: 06.6903.3203”.
L’obbligatoria indicazione del CIG e/o del CUP negli atti di gara per gli appalti più importanti e negli atti dei procedimenti attributivi di finanziamenti costituisce dunque garanzia per i soggetti appaltatori e per i destinatari principali dei finanziamenti, ma, al fine di assicurare piena trasparenza nel quadro complessivo di gestione dei movimenti finanziari, è necessario che ne sia fornita specificazione anche:
a) nei contratti di appalto;
b) nei contratti di subappalto e di subfornitura;
c) negli atti selettivi e nei contratti di cottimo fiduciario correlabili a commesse pubbliche censite mediante il CIG;
c) negli atti di regolazione dei rapporti per concessioni;
d) negli atti di regolazione dei rapporti per i finanziamenti pubblici.
L’Autorità ha sottolineato in relazione al CIG, che prima dell’emanazione della legge n. 136/ 2010, il Codice Identificativo Gara veniva utilizzato al fine di vigilare sulla regolarità delle procedure di affidamento dei contratti pubblici sottoposti alla vigilanza dell’Autorità.
Il CIG invece è divenuto ora lo strumento, insieme al CUP, su cui è imperniato il sistema della tracciabilità dei flussi di pagamento; quindi, in considerazione di questa nuova funzione, la richiesta del CIG è obbligatoria per tutte le fattispecie contrattuali di cui al Codice dei contratti, indipendentemente dalla procedura di scelta del contraente adottata e dall’importo del contratto.
A tal proposito, con comunicato del Presidente dell’Autorità di Vigilanza in data 13 gennaio 2011, è stato precisato che “la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006) ha introdotto il meccanismo di autofinanziamento da parte del mercato di competenza per tutte le Autorità, in sostituzione del contributo a carico del bilancio dello Stato. Con la legge 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010), è stato disposto poi che i disavanzi di bilancio di talune Autorità
venissero finanziati, per gli anni 2010-2012, da altre Autorità. Tale obbligo ha comportato oneri aggiuntivi che, in vigenza della precedente delibera, non avrebbero consentito l’equilibrio di bilancio.
L’obbligo della richiesta del CIG (codice identificativo gara), ai fini della legge sulla tracciabilità dei flussi finanziari, anche in ordine ai contratti in essere, benché stipulati in anni precedenti, riguarda la mera richiesta di detto codice, per il quale non è prevista alcuna prestazione patrimoniale retroattiva relativa a detti affidamenti”.
Per quanto riguarda, invece, il versamento del contributo in favore dell’Autorità, esso rimane dovuto dagli operatori economici e dalle SS.AA., secondo le modalità e l’entità definite annualmente con deliberazioni del Consiglio, ai sensi dell’articolo 1, commi 65 e 67, della legge 23 dicembre 2005, n. 266.
Secondo l’AVCP, la ratio della norma contenuta nella legge 136 è quindi quella di tracciare gli incassi provenienti dai contratti di appalto ed i pagamenti che, a fronte di tali incassi, sono effettuati dagli appaltatori verso i soggetti della filiera; l’indicazione dei codici CIG e CUP ha proprio la finalità, insieme alle altre modalità previste dalla legge, di rendere l’informazione “tracciante”.
Di conseguenza, in caso di pagamenti per prestazioni comprese in
subcontratti/forniture che rientrano nella filiera e che siano destinate a più contratti di appalto, ciò che rileva è inserire il CIG afferente al flusso finanziario che viene concretamente movimentato.
L’Autorità rileva, quindi, che se il flusso finanziario necessario per pagare il subcontratto proviene da un contratto d’appalto, è sufficiente indicare quel CIG, ancorché la fornitura è materialmente utilizzata per l’esecuzione anche di altri contratti d’appalto.
Per quanto riguarda gli acquisiti destinati a magazzino, qualora il flusso finanziario per il pagamento non derivi da un contratto di appalto pubblico, non è ovviamente necessaria l’indicazione di un CIG, fermo restando che tali materiali possono comunque essere impiegati anche per l’esecuzione di appalti pubblici.
L’AVCP ribadisce peraltro che, in ogni caso, in relazione alla possibile individuazione di soluzioni operative diverse da quelle sopra prospettate, occorre sempre tenere presente la necessità di garantire la più volte richiamata finalità della norma, assicurando la piena tracciabilità dei flussi all’interno della filiera e il controllo ex post sui flussi finanziari.
Nel caso di una gara divisa in più lotti (ad esempio, gare per l’acquisto dei dispositivi medici e farmaceutici effettuate da ASL o centrali di committenza), dopo che il responsabile del procedimento abbia provveduto ad effettuare la necessaria registrazione presso il SIMOG e, quest’ultimo, abbia attribuito, alla nuova procedura di gara, il numero identificativo univoco, denominato “Numero gara” e, a ciascun lotto, il codice CIG, per semplificare gli oneri a carico degli operatori economici risultati aggiudicatori di una pluralità di lotti, nei mandati di pagamento è
sufficiente indicare il CIG di uno dei lotti per cui si sta procedendo al versamento della somma, al fine di evitare di dover riprodurre l’elenco completo di tutti i CIG dei lotti interessati.
Rimane tuttavia ferma la prescrizione per cui, in sede di stipulazione del contratto, occorre specificare tutti i lotti che l’operatore economico si è aggiudicato ed i relativi CIG.
L’Autorità, al fine di semplificare l’attività delle stazioni appaltanti, garantendo al contempo l’assolvimento degli obblighi di tracciabilità, ha affermato di avere allo studio un sistema che consenta, per i soli affidamenti diretti di servizi e forniture di importo inferiore a 20.000 euro e per quelli di lavori di importo inferiore a 40.000 euro, l’effettuazione di un unico adempimento per un dato intervallo temporale.
L’art. 3 della legge n. 136 stabilisce poi, al comma 8, che la stazione appaltante, nei contratti sottoscritti con gli appaltatori relativi ai lavori, ai servizi e alle forniture di cui al comma 1, inserisce, a pena di nullità assoluta, un’apposita clausola con la quale essi assumono gli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari di cui alla presente legge.
Inoltre, lo stesso comma 8 prevede che l’appaltatore, il subappaltatore o il subcontraente che ha notizia dell’inadempimento della propria controparte agli obblighi di tracciabilità finanziaria ne dia immediata comunicazione
alla stazione appaltante e alla Prefettura – Ufficio territoriale del Governo della provincia ove ha sede la stazione appaltante o l’amministrazione concedente.
Inoltre, il comma 9 prevede che la stazione appaltante verifichi che nei contratti sottoscritti con i subappaltatori e i subcontraenti della filiera delle imprese a qualsiasi titolo interessate ai lavori, ai servizi e alle forniture di cui al comma 1 sia inserita, a pena di nullità assoluta, un’apposita clausola con la quale ciascuno di essi assume gli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari di cui alla presente legge.
Le due disposizioni comportano, pertanto:
a) l’obbligatoria inserzione in ogni contratto di appalto (ma anche di cottimo fiduciario) di una clausola che impone all’appaltatore (o affidatario cottimista) di adempiere agli obblighi previsti per la tracciabilità dei flussi finanziari dall’art. 3 della legge n. 136/2010;
b) l’obbligatoria inserzione in ogni contratto di subappalto o di
subfornitura di una clausola che impone al subappaltatore o subfornitore o subcontraente di adempiere ai medesimi obblighi previsti per la tracciabilità dei flussi finanziari.
La norma sanziona la mancata inserzione di tali clausole con la nullità assoluta dei contratti di appalto o subappalto o subfornitura che ne sono sprovvisti, determinando una fattispecie di nullità stabilita dalla legge ai sensi dell’art. 1418, comma 3, del codice civile.
Inoltre, al successivo comma 9-bis, si dispone che il mancato utilizzo del bonifico bancario o postale ovvero degli altri strumenti idonei a consentire la piena tracciabilità delle operazioni costituisce causa di risoluzione del contratto.
Tale previsione (che configura un’ipotesi di risoluzione espressa di cui l’appaltatore deve essere reso specificamente edotto e, tramite esso, i subappaltatori e i subcontraenti) si riferisce ovviamente sia al rapporto contrattuale principale (l’appalto), sia a quelli derivati.
Dunque, il legislatore ha eliminato dal testo della legge n. 136 l’automatismo dell’operatività della sanzione della risoluzione di diritto del contratto, nel caso di mancato utilizzo del bonifico bancario o postale o degli strumenti idonei a consentire la piena tracciabilità, specificando che
tali inadempimenti costituiscono “causa di risoluzione” del contratto. Di conseguenza, la modifica in commento subordina la sanzione della risoluzione, di per sé di rilevante entità, ad una apposita azione in tal senso, promossa previa valutazione circa l’opportunità di intervenire, da parte di chi abbia notizia dell’inadempimento della propria controparte agli obblighi di tracciabilità.